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I Racconti della Terra

I Racconti della Terra

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Papa Francesco l’ha chiamata, con qualche rischio consapevole, Pachamama, la divinità amazzonica della Grande Madre Terra, simbolo di realtà culturali “ma non di adorazione perché questa si deve solo a Dio”, ha precisato l’Osservatore Romano. 
Né I racconti della Terra Geremia Paraggio non corre il rischio teologico, non è un teologo, e ci consegna un orizzonte dove i personaggi   restituiscono la pietas indispensabile al vivere insieme, il cum-patire necessario agli uomini in questa ”aiuola che ci fa tanto feroci” (Dante, Paradiso XXII, 151). 
Le Briscine sono giovani donne in processione per invocare la pioggia, “in abiti neri, con le gonne riccamente plissettate…lo sguardo stanco ma ancora decise” a sfidare la siccità, il sacro, vale a dire la legge della vita come infinita innocenza e crudeltà della natura, il tremendum ed il fascinans delle sue leggi. 
(La natura: un mistero che ti accarezza e ti fa tremare: “Dio perdona sempre, noi uomini perdoniamo di tanto in tanto, la natura non perdona mai” – Papa Francesco).  
Le Briscine vivono la via stretta della fede, nella percezione di un invisibile che si fa visibile, quasi che il profano non sia del tutto abbandonato a se stesso: “tanno ne sciamo quanno n’hai fatto la grazia” (ce ne andremo quando ci hai fatto la grazia) gridano, nel dialetto sorgivo della lingua, in una luce che appartiene agli echi placentari della voce, quasi un ascolto in diretta delle sofferenze prima ancora che qualcuno le acquieti nella grammatica. E quando si strappano ciocche di capelli per mostrare al Cuore di Gesù il dolore fisico, sembra di assistere ai lamenti della tragedia greca che qui certamente risuona. 
Paraggio le osserva, sembra direttamente coinvolto nel rito, le accompagna con tenerezza e traboccanti spazi dell’anima, come se volesse riprendere contatto col cuore del mondo. 
In sintonia con le leggi della natura che attende di essere custodita, Lu chianeluso, il guadiaboschi che piange per un albero abbattuto, difende con amore il bosco dai furti, sa che Marcantonio (il ladro) gli sta mentendo.  E, tuttavia, lascia correre. La sua è una solidarietà burbera, più gridata che reale, qualcosa vicina al diritto mite e ai bisogni delle persone di riscaldarsi.
Zia Marta, l’anziana che viveva sola, vedova da anni e con due figli in America con i quali aveva perso ogni contatto…fa la notte in preghiera con la faccia per terra per dar man forte alla comunità.  E invoca il Signore per la pioggia. 
Tutti i racconti, da I mietitori, a La fuscitizza, a Zi’ Nardo sono come momenti liberatori, stazioni dove vive il bene ostinato e redentivo della grazia del nonostante tutto. 
Racconti che partono dal basso, dai derisi e dagli esclusi, attraversano la porta degli umili per cogliere il respiro e il ritmo della terra, la fragilità e la comune appartenenza. 
Geremia Paraggio, che ama e bacia con ardore la terra, affida ai suoi contadini il compito di sostenere la pressione dell’esistenza, porta in scena la vita, i bisogni reali della povera gente, dando a ciascuno la chance di inventarsi la sopravvivenza.       
E, nel riconoscere la dignità di ogni esistenza e la necessità di preservarla ad ogni costo, avverte nel respiro della terra il respiro del vivente: un’appartenenza comune.

Gerardo Chiumiento

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