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Eboli e la Pubblica Istruzione. L’Istituto Comprensivo “Giacinto Romano”

Eboli e la Pubblica Istruzione. L’Istituto Comprensivo “Giacinto Romano”

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La storia è la disciplina che si occupa dello studio del passato tramite l’uso di fonti, cioè di tutto ciò che possa trasmettere il sapere. L’etimologia della parola (dal latino historia che a sua volta deriva dal greco) significa “conoscenza acquisita tramite l’indagine, la ricerca”. Più precisamente, la storia è la ricerca e la narrazione continua e sistematica di eventi del passato, considerati di importanza per la specie umana, compreso lo studio degli eventi nel corso del tempo e la loro relazione con l’umanità. Tutti gli avvenimenti che vengono registrati e preservati in alcune forme costituiscono la testimonianza storica.

Gli eventi che sono presumibilmente accaduti prima dell’avvento della comunicazione scritta sono perciò denominati “preistoria”. Il compito auto-assegnato del discorso storico è quello di identificare le fonti che posso contribuire alla produzione di resoconti veritieri del passato mentre il compito dello storico, in base ai propri strumenti di conoscenza, è quello di analizzare le fonti e, inserendole nel contesto generale, attribuirne la valenza storica ovvero invalidare l’uso di alcuni testi e documenti confutandone le loro affermazioni e questo per rappresentare il “vero passato”.

Il metodo storico consiste di tutte quelle tecniche e quelle linee guida con le quali gli storici usano le fonti primarie ed altre testimonianze per ricercare e quindi scrivere la storia. Una vera operazione storiografica è il prodotto della rigida osservanza di un metodo stabilito. In altre parole, la verità storica è considerata un effetto del metodo di produzione storiografica. Ecco allora che la storia è costituita dalle fonti stesse, dalle testimonianze (dirette), dalla materia prima documentata o archeologica, dalle rappresentazioni immediate o dalle narrazioni effettuate dai non studiosi, non aggiornate e non elaborate. Dunque la storia è rappresentata da: avvenimenti + res gestae (azioni), ovvero dagli eventi umani nel loro svolgimento.

Questa può essere considerata una definizione base di ‘storia’. La storiografia mostra i comportamenti del passato per meglio comprendere il presente ed agire in esso.

Ma veniamo alla cosiddetta “storia locale”.

La definizione che ne viene data per alcuni sembra prescindere dai limiti spaziali. Se si intende considerarla come il divenire di un’intera civiltà, possono la colonizzazione dell’America latina o la rivoluzione sovietica o l’espansione turca verso occidente considerarsi storie “locali”? Restringendo il “campo d’azione”, può considerarsi locale la storia d’Italia durante il Risorgimento, la Grande guerra o quella di Napoli sotto Carlo III di Borbone?

Si tratta, cioè, di un problema di scala: la scelta di isolare una dimensione continentale, nazionale, regionale o più correntemente “locale” della storia dipende dall’oggetto di studio e dal grado di approfondimento o di sintesi cui vogliamo pervenire. Bisogna essere consapevoli che la percezione del “locale”, così come viene inteso oggi in Italia, cioè una dimensione che spazia da quella municipale a quella regionale, dipende quasi del tutto dalla necessità scientifica di isolare fenomeni e percorsi che hanno spesso proprie peculiarità per quanto riguarda le fonti e i quadri generali di riferimento.

Insomma, anche se volessimo a tutti i costi ancorare il nostro oggetto di studio ad una determinante geografica su scala “micro”, scopriremmo lo stesso che questo oggetto è in realtà mutevole nel tempo, nello spazio e nei suoi ambiti di riferimento. Per quanto riguarda questi ultimi, è poi evidente che partire da una dimensione “locale”, cioè scegliendo una scala comunque piccola, significa quasi sempre affrontare un’analisi che privilegia questa o quella storia settoriale.

Così, ad esempio, se dell’800 volessimo raccontare la storia dell’area a nord di Salerno non potremmo prescindere dal raccontare la storia delle industrie ivi impiantate, della vita degli operai, delle produzioni; se ci spostassimo più a sud e volessimo, invece, raccontare dell’area pianeggiante attraversata dal Sele non potremmo non parlare di bonifiche, di agricoltura, di vita contadina.

Ma torniamo alla definizione di “storia locale”. Alcuni la considerano un sottoinsieme della storia di una civiltà, con intersezione di una o più storie settoriali di conseguenza, la storia locale rimanda alla dimensione più ampia della civiltà cui si riferisce, nel suo divenire storico, e alla specificità di alcuni particolari aspetti di questa.

Dunque, una buona conoscenza di una o più storie settoriali riferibili alla nostra civiltà è indispensabile per ogni corretto ed efficace percorso didattico di storia locale. Per meglio definirla abbiamo voluto fare nostra la definizione riportata sul sito dell’Archivio di Stato di Salerno

La storia locale così come la si intende oggi ha cominciato ad assumere un ruolo di primo piano nella storiografia contemporanea a partire dall’immediato dopoguerra, sulla scia delle nuove tendenze avanzate dagli Annales, la famosa rivista francese che per prima si è occupata di storia connessa ad altre discipline quali la sociologia, lo strutturalismo, l’economia.

E grazie agli studi teorici di Chabod, Dal Pane, Della Peruta, Ragionieri, Cantimori,  è riuscita a svincolarsi in Italia da quell’aspetto puramente erudito che l’aveva fino ad allora caratterizzata per allargarsi a comprendere in sé i portati delle nuove scienze storiche: l’analisi dell’andamento delle strutture sociali, del lavoro, della vita materiale delle piccole comunità diveniva di importanza fondamentale per una più globale lettura della storia, che tenesse conto di tutti i fattori dinamici di una società.

La definizione di storia locale deve essere dunque presa nella sua accezione più ampia e completa: non nel vecchio senso di ricerca fine a se stessa, «la pettegola erudizione locale» come la definiva Benedetto Croce, ma piuttosto come tentativo di ricostruire i molti aspetti sociali, storici, artistici, economici di una zona geograficamente determinata, nel suo rapporto più articolato e dialettico con la “grande” storia, di cui anch’essa fa parte.

Lo studio approfondito dell’organizzazione e sviluppo di piccole comunità locali nelle loro componenti diverse ha rivelato fenomeni interessanti come la differente “durata” del tempo storico, il protrarsi ad esempio di culture arcaiche sin nel cuore della modernità: la persistenza all’interno del mutamento, per citare il bel titolo del saggio di Augusto Placanica.

Non è un caso, probabilmente, che questo genere di  ricerca e di recupero del passato abbia avuto un grande successo nel corso degli anni Settanta ed Ottanta del secolo ventesimo, proprio nel momento in cui si consumava, a livello locale, il grande salto della modernità, concludendosi i processi di omologazione e indifferenziazione culturale propri del “villaggio globale”, con tutti i rischi di cancellazione delle vecchie strutture culturali, economiche e sociali – nonché folkloriche -  dei singoli territori, le cui “storie” continuano a sopravvivere soltanto “nella conservazione” della memoria, che si evidenzia nella riproposizione di antiche giostre, tornei, fiere e rievocazioni.

Quale importanza può avere l’insegnamento della storia locale nelle scuole?

La migliore risposta che è stata data è quella di sviluppare nell’alunno-cittadino il senso di appartenenza ad una comunità residente in un determinato territorio, alla cui vita sociale egli deve contribuire in modo attivo e competente,secondo le regole proprie della democrazia.

In questo quadro si capisce bene quanta importanza abbia lo studio di questa disciplina per la formazione del futuro cittadino, facendolo anche attraverso la conoscenza delle vicende locali a lui prossime e quindi meglio percepibili, e allo studio dei luoghi che vive e in cui vive.

Ciò non significa che si debba considerare lo studio degli eventi locali disgiunto da quello su scala nazionale ma si può anche procedere contestualmente, andando a collocare i fenomeni che si vanno analizzando su scala più piccola collocandolo in un contesto più generale di riferimento, mano a mano che si procede nel lavoro.

Partendo dal territorio, del quale si può acquisire diretta esperienza, agli allievi, soprattutto i più piccoli, si può garantire una forma di apprendimento più efficace (dal vicino al lontano, dal familiare all’ignoto, dalla concretezza all’astrazione). Lo studio della storia locale, proprio perché sentito in maniera più immediata, deve avere come finalità la crescita civica, il rispetto per l’ambiente ed una più forte formazione identitaria per meglio comprendere ed apprezzare la diversità globale (e per una società che sempre più si sposta verso la multietnicità si comprende quanto importante sia l’acquisizione di tale consapevolezza).

In quest’ultimo senso, una corretta percezione del rapporto tra storia locale, regionale, nazionale, europea e globale può essere considerato determinante poiché si diventa coscienti del fatto che l’identità sociale è fatta sì di differenze e di asimmetrie, ma anche e molto spesso di parallelismi e di percorsi condivisi.

Quindi, la dimensione micro può essere utilmente sperimentata come una sorta di “punto di partenza” la cui immediatezza data dal rapporto più ravvicinato con le cose che ci circondano deve poi necessariamente rinviare ad altre esperienze e a dimensioni che trascendono e prescindono dal nostro quotidiano scenario nel quale ci muoviamo.

E’ questo lo spirito che abbiamo voluto racchiudere in questo lavoro nel quale, pretestuosamente, raccontando la storia di “una” scuola abbiamo finito per raccontare la storia “della” Scuola tentando di contestualizzare i fatti passando dal “macro” al “micro” e viceversa.

Non si poteva parlare di crescita culturale della nostra comunità attraverso la capillare diffusione sul territorio dell’insegnamento senza parlare di come Eboli sia cambiata urbanisticamente e demograficamente ed ancora abbiamo voluto raccontare eventi di respiro più ampio i cui riflessi, a volte drammatici, hanno avuto ricadute nel nostro vivere quotidiano dimostrando come nessuna comunità può sottrarsi all’idea che non è e mai potrà essere un microcosmo sufficiente a se stesso, isolato dal contesto generale, ma che è parte integrante del grande flusso della Storia.

In queste pagine non troverete analisi storiografiche, non era nelle nostre intenzioni, questo compito lo lasciamo agli addetti ai lavori, abbiamo invece voluto raccontare “semplicemente” delle storie attingendo alle fonti documentali di cui sono ricchi i nostri archivi, documenti che, vista l’importanza intrinseca, meriterebbero un’attenzione ed una sensibilità da parte delle istituzioni che francamente non riscontro: la superficialità di certi funzionari (o forse soltanto la stanchezza di lottare contro l’ottusità di certi dirigenti) nell’autorizzare lo svuotamento di locali comunali da “cartacce vecchie” da mandare al macero senza disporre alcun tipo di controllo preventivo sul loro contenuto, locali comunali dove giacciono da anni, consunti dall’umidità e dalla voracità dei topi, libri e documenti di straordinaria importanza per la ricostruzione storica della nostra comunità, vecchi parroci che fanno spazio negli armadi delle loro sacrestie eliminando le “carte vecchie” conservate al loro interno, fameliche perpetue che svuotano sacrestie per rivendere i documenti nei circuiti dell’antiquariato, studiosi locali che, appena possibile, si appropriano di libri e documenti antichi arricchendo i propri archivi personali, sottraendone il contenuto alla fruizione generale, hanno privato per sempre la nostra comunità di fonti preziose che avrebbero permesso agli studiosi locali o a giovani laureandi di ricostruire pezzi importanti della nostra storia.

Il Centro Culturale Studi Storici, al quale mi onoro di appartenere, non organizza solo concorsi letterari e di poesie, convegni e manifestazioni tradizionali, non frigge solo zeppole durante le diverse manifestazioni che si organizzano in paese, ma è e resterà un baluardo contro coloro che hanno intenzione di cancellare pezzi della nostra storia, è e resterà attento vigile su tutto quello che riguarda la tutela del patrimonio storico e letterario della nostra città. L’Associazione, così come dovrebbe essere per tutte quelle che operano in questo ambito, combatte da anni questi squallidi episodi di sciacallaggio e di ignoranza con risultati non sempre lusinghieri dovuti quasi sempre alla scarsa sensibilità di chi dovrebbe vigilare e non vigila, di chi dovrebbe intervenire e non interviene.

Il lavoro delle Associazione culturali è fondamentale perché hanno il compito di creare le basi sulle quali poter immaginare, in un futuro che non è certamente quello prossimo, una Eboli al centro dei grandi flussi culturali. Siamo in attesa che il nostro Lorenzo il Magnifico esca dal chiuso del suo mondo e metta a disposizione della comunità tutta la propria scienza e sensibilità.

 

Armando Voza

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