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Emma De Ala, una contessa normanna nel Meridione d’Italia

Emma De Ala, una contessa normanna nel Meridione d’Italia

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Se nel nostro territorio per la storia romana e quella greca abbondano i reperti e le loro interpretazioni, per la storia del Medioevo, ma soprattutto e in particolare per quella dell’XI secolo, le notizie scarseggiano, così come l’interesse. Perché in quella sarabanda che porta a privilegiare ora un’epoca ora un’altra, gli anni immediatamente dopo il Mille appaiono poco intriganti e ancor meno documentati. Ma ciò nonostante Emma de Ala, contessa normanna del castrum Evoli, ha meritato il suo racconto costruito intorno a sei pergamene conservate nell’archivio della Badia della Santa Trinità di Cava, pure di dubbia autenticità. Ella, che di sicuro è stata una figura carismatica, si muove nel suo piccolo mondo immerso nel Principato di Salerno e qui compare, in età matura, su un regesto del 1083 per poi scomparire dopo 1090. Non sappiamo se sia vissuta ad Eboli già con il primo marito Raone Trincanotte, signore di Eboli, o si sia stabilita più tardi con il secondo, Guimondo dei Mulisi. Da dove sia arrivata, come sia vissuta e dove sia stata sepolta è un mistero. O forse no!

Con lei la storia è stata avara, a parte le pergamene, non un’iscrizione né un graffito, su di lei nessun aneddoto, nessuna leggenda. Non ci resta che la fantasia storica per dare corpo e anima ai documenti pergamenacei e a quella targa che le intitola la piazzetta sotto il castello di Eboli.

Mi piace immaginare che qui sia vissuta sin dal primo matrimonio e abbia amato la Terra e il popolo su cui governava e che frequenti siano stati i contatti suoi e dei familiari con principi ed alti prelati, con uomini e donne del popolo: con la principessa longobarda e contessa normanna Sichelgaita e con Roberto il Guiscardo e conti e viceconti, con gli abati di Cava e monaci e preti, con le servette di Evoli e le mulieres salernitane. Infatti per rendere più credibile la sua figura ho fatto interagire Emma con donne più o meno contemporanee, storicamente documentate, eroine dalle virtù desiderabili come Sichelgaita, Arlette, Trotula, Porpora ma anche con quelle che hanno lasciato solo una debole traccia sui documenti pergamenacei. Le une e le altre diventano le coprotagoniste della medesima pagina di storia e le loro vicende tra vero e verosimile si intrecciano, si combinano, si completano, mentre io intrufolandomi in quel tempo lontano ho cercato di essere vicina a tutte nei pensieri, le aspirazioni, i sentimenti e le azioni.

 Raccontare di Emma ha significato raccontare del popolo normanno che pose fine alle continue lotte tra longobardi, bizantini e saraceni e, dopo essersi cercati, alleati e combattuti, si spartirono i resti dell’Impero Romano per poi frantumarsi in cento ducati e in mille contee e decidere del nostro futuro, mentre la Chiesa, di certo, non stava a guardare. Raccontare di Emma ha significato raccontare poco degli uomini e molto delle donne che pur fecero la storia della Langobardia minor e non solo. Nel mio lungo racconto Emma vive da castellana ma non da reclusa perché si sposta a Campagna, a Salerno, a Cava, a Melfi, a Venosa... mentre i suoi uomini combattono al fianco dei nobili normanni nel Mezzogiorno d’Italia. Impariamo, allora, a conoscerla mentre ben si destreggia tra gli oratores, i bellatores e i laboratores, le tre grandi categorie in cui si divideva la società medievale. Chierici e monaci sono i frequentatori della sua dimora e i beneficiari delle sue donazioni, guerrieri sono stati i due mariti, forse anche il figlio, i nipoti e gli avi. Artigiani, ma soprattutto contadini sono i suoi sudditi che consentono con il dissodare, l’arare, il seminare e il raccogliere ai religiosi di istruirsi, pregare e predicare, ai guerrieri di combattere, vincere e perdere. E ai primi e ai secondi di consolidare il potere, di accumulare ricchezze per innalzare “la facciata del Medioevo, grandiosa e simbolica come la facciata di una cattedrale”.

 Le scarse fonti storiche, tante volte passate al setaccio, difficilmente potevano contenere scoperte strabilianti, tali da far emergere dati inaspettati. Non era, del resto, questa la mia intenzione, bensì quella di consegnare alla memoria futura un’altra figura femminile appartenente a quella famosa storia sommersa che non “ha rimorsi né pudori” e, attraverso le sue vicende vere e verosimili creare un interesse maggiore su una parte del meridione d’Italia.

Emma vive nel castello di Evoli che è luogo di storia, ma che a me è sembrato così magico e straordinario da riempirlo di voci e di personaggi lontani nel tempo, capaci, tuttavia, di suscitare ancora curiosità in coloro che sentono come patrimonio comune l’appartenenza ad un territorio e ad una comunità. Il castello diventa nel racconto uno scorcio del Medioevo, dove si incontrano mendicanti e truffatori, frati e contadini, artigiani e commercianti in un girovagare tipico dell’età di mezzo che non è affatto buia.

 Le pagine a seguire, pertanto, vogliono essere una riscoperta anche delle antiche mura del castello conosciuto, impropriamente, come Castello Colonna.

 Il rapporto degli ebolitani e di Eboli con il castello è divenuto col tempo alquanto strano. Esso ha condizionato la rinascita della città dopo la distruzione da parte delle orde barbariche della Eburum romana, ora con le mura e le torri domina il profilo dell’intera città, eppure, gli ebolitani non gli saranno mai abbastanza affezionati, lo guarderanno con rispetto, forse anche con indifferenza, ma senza conoscerlo appieno. Mentre tanta è la storia che può raccontare.

Sebbene siano state accuratamente vagliate fonti storiche ed archivistiche il lavoro non vuole assolutamente ambire ad essere un romanzo storico, ma una ricostruzione romanzata di una pagina di storia che, comunque, è sconosciuta a molti. Pertanto per i lettori sarà, senza dubbio, un arricchimento di notizie e di scoperte. E’ quanto basta.

Così Bruzia Crispina l’imperatrice lucana ed Emma de Ala normanna di nascita ed ebolitana di adozione, l’una dopo duemila anni e l’altra dopo mille, avranno conquistato intorno alle loro vicende terrene un poco di attenzione in “un’aiuola che ci fa tanto feroci”. Ancora. Ieri come oggi, e oggi come domani.

 

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