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Antologia di racconti cilentani. Vol. II, Licosa

Antologia di racconti cilentani. Vol. II, Licosa

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E’ con grande piacere che prendo la penna e mi appresto a riporla su un foglio di carta per fare la stesura della presentazione del secondo volume di “Racconti cilentani” di Nadia Parlante. Naturalmente questo che mi accingo a scrivere al momento è l’intera sensazione che ha suscitato in me l’insieme dei racconti presentati da Nadia Parlante. Racconti d’altri tempi e racconti attuali che mi riportano all’infanzia, quando ero bambino e nei periodi della calura mi recavo a Falagato (Altavilla Silentina) e lì dimoravo con i miei nonni, i miei zii ed i miei cugini.

La luce elettrica non c’era. Ricordo la luce a gas, quella nella stanza da letto. Ricordo i lumi ad olio posizionati in cucina e qualche candela sul tavolo dove si consumava la cena che avveniva quasi all’imbrunire, dopo che il nonno aveva chiuso nella stalla “Stellina”, “Dorina” e i loro vitelli.

Ormai buio dopo cena non si usciva più e nel frattempo si erano già fatte oltre le nove di sera.

Mentre nonna Graziella rassettava la cucina e nonno Gennaro metteva sui fogli i conti del giorno, zio Armando che da poco aveva sposato zia Giovannina, la sorella di mia madre, davanti alla porta di casa, all’aria fresca, ci affascinava coi suoi “cunti”. Forse qualche “cunto” se lo inventava al momento o forse era uno di quelli che aveva appreso dalla sua mamma o dalla sua nonna ma fatto sta’ che quando lo stesso racconto lo narrava per più di una volta, c’era sempre qualcosa che cambiava.

A distrarre noi bambini era solo qualche falena che attratta dalla luce del lume sbatteva vicino la fiamma e noi automaticamente, vedendo l’abbassamento della luce fissavamo sbalorditi quella povera malcapitata. Ma subito dopo la curiosità di ascoltare il seguito era più forte e così ci immergevamo nuovamente nel racconto. Stranamente quasi tutti finivano col lieto fine e subito dopo tutti a letto.

Gli occhi si chiudevano col pensiero del racconto poc’anzi ascoltato.

I racconti di nonna Graziella ed anche quelli di zio Armando erano immancabilmente in dialetto.

I racconti di Nadia hanno suscitato in me questo ricordo e non vi nascondo che essendo io una persona che non possiede una TV per scelta di vita, per ben 12 serate non ho fatto altro che leggere un racconto per sera ed alla fine li ho riletti, scoprendo in essi, ogni volta, altre sensazioni, altre cose che mi erano sfuggite nella prima lettura.

Non voglio nascondere al lettore, perché con il lettore si deve essere sincero, che in alcuni racconti mi sono immedesimato arrivando persino a farne parte. Ero lì nel racconto. Ho gioito. Ho pianto. Che emozioni...!

 

Giuseppe Barra

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