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Sol vaghi riflessi del canto mio

Sol vaghi riflessi del canto mio

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 Pompeo Di Luccia, certamente non nuovo a pubblicazioni ed esperienze culturali, dimostra ancora una volta lo spirito indomito del poeta e scrittore che scrive con passione autentica e  con il desiderio di essere sempre sorretto e guidato da quella musa che ha fatto palpitare poeti di ogni epoca.

Musa celestiale, ispirami ancor.

Sognar voglio ove il cor mi porta.

(da Calliope, Ispirami ancor)

Chi ama l’arte non può invecchiare, il suo animo continua ad emozionarsi e gli anni affinano questa propensione a volersi tuffare nelle pieghe della vita, per trovare un ricordo, un sentiero da percorrere, un bagliore di luce.

Diceva, nei suoi versi Alda Merini:

“Ho bisogno di poesia

Questa magia che brucia

la pesantezza delle parole

Che risveglia le emozioni e dà colori nuovi”.

Questo bisogno di poesia, che trasuda dagli scritti di Pompeo, pervade anche il lettore, che si incammina sui sentieri spianati dall’autore, dove si sentono i profumi del sole del Sud, ma si possono scorgere anche le maestose vette torinesi o la magica bellezza delle notti romane. Pertanto cosa potrei aggiungere agli splendidi testi di Pompeo, se non provare a descrivere quali scintille hanno ravvivato in me. Perché è questo il ruolo della poesia: toccare le corde del cuore affinché diventino melodia per lo spirito, cosa che lui riesce a fare anche con i testi in prosa. In questa raccolta si cimenta, infatti, nella poesia in italiano, in vernacolo e nei racconti brevi. La scelta linguistica delle tre tipologie penso sia dettata dal fatto che l’autore sia un innamorato della vita come del linguaggio e attinga a piene mani da quel serbatoio di cultura, di esperienza e di passione che contraddistingue la sua vena artistica e la sua personalità.

Cantar d’amor

solo a chi ama dato è.

Al cor che langue

tal sentimento può

sol gioia dar.

(da “Canto d’amor”)

Ebbene, come diceva il Sommo Poeta, solo un animo nobile, aperto ai sentimenti più belli, può cantare con il cuore la bellezza dell’amore e le parole di Pompeo riescono a lambire l’anima. E basta un profumo di pesco a spingere l’autore tra le braccia della musa Calliope, che lo  esorta a cantare i momenti belli, ma anche difficili della vita e a sperare in un domani ricco di serenità. Solo così il cuore non soffre, anzi viene spronato a non appendere mai la cetra, ma a trasformare in musica del cuore ciò che il tempo non potrà mai cancellare.

Una gemma di pesco

stamani il vento mi ha

portato ed in cor mio

largo posto ha pur trovato.

E’ entrata attraverso magici

sentieri, una vita nuova

calore effondendo.

(tratto da “Gemma di pesco”)

Datemi pace o duri miei pensieri” il verso di petrarchesca memoria ci fa pensare al turbamento della mente e del cuore, quando i pensieri si affollano e diventano guerrieri di battaglie interiori, che solo una fede forte può stemperare, fino a cantare al Signore la propria lode per il dono della speranza, che rassicura sempre sul domani e invita a guardare al passato con clemenza. Quanta vita troviamo negli scritti di Pompeo, che non disdegna di narrare anche eventi storici, come la disfatta di Caporetto oppure dare consigli di sana prudenza, partendo dall’inganno di Ulisse e il suo memorabile cavallo, per non cadere in trappole tese da falsi adulatori o ipocriti invidiosi.

Ed ecco che tutti i componimenti che fanno parte di “Sol vaghi riflessi del canto mio” diventano tasselli di un mosaico di colori forti e tenui, di chiaroscuri, proprio come è la vita, con le sue infinite sfaccettature, che la rendono unica e irripetibile, con i ricordi che hanno il profumo del mare e le storie allegre raccontate agli amici di sempre. Tanti personaggi si avvicendano e sembra vederli sulla passerella della vita, attori di un tempo che ancora vive nei ricordi e tutti questi pezzi di esistenza diventano un intarsio stupendo, in cui ogni figura trova il suo posto e si offre allo sguardo del lettore, che ritrova in quei colori e in quelle sfumature un po’ di se stesso.

Mi torna in mente l’immagine di due marinai, nella poesia in vernacolo, “O mare mio”, che rispettosi dei doni del mare, prendono solo il necessario, senza ingordigia, ma con la consapevolezza che tra loro e il mare c’è un legame atavico, che può essere conservato a patto che permanga sempre la saggezza dello scambio e che l’uomo non si trasformi in un predatore irriconoscente. Quanta assennatezza c’è in questo testo e quante volte abbiamo visto la natura violata da coscienze annebbiate da egoismo e voglia di potere. E il nostro poeta ne ha viste distese di mare turchese, che gli tornavano teneramente in mente, nei lunghi anni di lavoro e lontananza dalla sua terra d’origine. L’autore ci parla della lontananza, vissuta tante volte, come consapevolezza sempre più chiara della sua capacità di amare persone e luoghi, con l’intensità che si può ancora leggere sul suo volto, spesso illuminato da un bellissimo sorriso. E allora incamminiamoci sui sentieri tracciati dall’autore: respiriamo il senso della vita, che si cela nelle numerose esperienze di gioia, di dolore, di amore e di nostalgia ed anche in noi le parole creeranno doline silenziose, in cui rifugiarsi, per ritrovare la voglia di guardare alla vita come un prodigio, che può riservare sempre emozioni inaspettate. Mi sembra bello concludere con alcuni versi di Pompeo, tratti da “Inno alla vita” , che suggellano la sua voglia di effondere ancora il suo canto migliore.                                        

Or, ai monti ed al pian,

che corona mi fanno, guardo:

momenti fantastici, pronti il ciel sfidarsi.

Realtà, lezione mi dà

e l’invito al passo segnar.

                                 

Annamaria Perrotta

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