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'A vita è bbella

'A vita è bbella

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Le poesie di Orlando Carratù, finalmente raccolte in volume, hanno una storia antica. Una storia che nasce a Torino negli anni ’60, quando il giovane Orlando, trasferitosi da Eboli a Torino per lavorare in fabbrica, frequentava le scuole serali per conseguire la licenza media. Le giornate in fabbrica erano dure, la nostalgia di Eboli era tanta. Per l’esame Orlando preparò una poesia che parlava di Eboli, del suo paese lontano, degli affetti lasciati, della madre, degli amici, dei luoghi cari: era nata “Nustalgia”.

Scrivere poesie per Orlando è stato anche il modo di mantenere vivo e forte il legame con la sua terra, con la sua gente, con la sua lingua. Capita troppo spesso di incontrare meridionali trapiantati al nord e sentirli ostentare una parlata zeppa di “neh” o di nomi propri preceduti dall’articolo, come autentici piemontesi o lombardi di sangue. Non c’è nulla di più patetico che rinnegare le proprie origini, la propria identità. Con Orlando questo rischio non si corre. Mettere in rima, per anni, le parole della propria lingua, gli ha permesso di conservare intatto il ricordo non solo dei suoni, delle inflessioni, delle locuzioni, ma anche i visi delle persone, le loro storie, la loro stessa vita e la vita di famiglie, di vicoli, di quartieri. “For ‘o Pennino” oggi è un incrocio brulicante di automobili, dove le macchine sfidano il codice della strada e la pazienza dei cittadini. Ma nella poesia di Carratù che porta questo titolo è un quartiere brulicante di vita, di suoni, di odori, di visi, di voci, di nomi e “scangianomi”: Maria ‘a brutta, Rosina ‘a colla, Lamberto ‘o gelatiere, troppo vecchio per spingere il carretto dei gelati fino a San Lorenzo, circondato dai ragazzini che lo aiutano, sperando, in cambio, in un piccolissimo gelato.

Nelle opere di Carratù troviamo personaggi, luoghi, avvenimenti, ma anche l’osservazione della natura, di quelle umili forme di vita che non notiamo più, perché relegate ai margini delle nostre città frenetiche, come il simpatico “mierulo” che ogni mattina, prima del sorgere del sole, è già sotto la finestra dei signori Carratù a deliziare il loro risveglio col suo canto.

E ci sono anche incontri ravvicinati che forse l’autore avrebbe preferito evitare, come quello con una Nera Signora,”‘na luce janca come ‘a neve”; scriverci su una poesia, è stato un modo per esorcizzarla.

Ma la poesia che preferisco, fra quelle presenti in questo libro, è ovviamente, “Tramonto a Surriento”, il ricordo di una bellissima serata del maggio 2009 trascorsa insieme per partecipare al Premio Letterario “Surrentum”. Orlando si classificò primo e fu una grandissima emozione essere lì a condividere con lui un momento così felice, di fronte ad uno scenario incredibile: il Vesuvio avvolto da una soffice foschia tinta di tutti i toni dei rossi, dei rosa, degli arancio, dei lilla. Uno spettacolo descrivibile solo con i versi di un poeta.

Tutte le poesie sono scritte secondo una struttura metrica e in dialetto correttamente. Questa precisazione è importante, perché parlare il proprio dialetto è un fatto naturale, scriverlo è invece un’operazione complessa, specialmente per noi campani, vincolati alla metafonesi, “la figura grammaticale che ha la funzione di distinguere e riconoscere il singolare dal plurale, il femminile dal maschile. Essa favorisce l’indebolimento o addirittura l’oscuramento nella pronuncia, e solo in essa, delle vocali “o” ed “e”, non accentate poste alla fine o nel corpo della parola, che così diventano indistinte ed affievolite, come se non fossero scritte”.

Moltissime persone si dilettano a scrivere in dialetto, ma, non rispettando questa regola, danno vita ad un linguaggio scorretto, cacofonico, fatto di consonanti che si susseguono stridendo, difficilissimo da leggere e da comprendere.

Orlando Carratù invece, benché autodidatta, padroneggia molto bene questa regola, perchè lui la metafonesi, come tutte le altre regole grammaticali, sintattiche e metriche della lingua e della poesia napoletana e campana in genere, le ha imparate dalle lunghe frequentazioni dei testi di Ferdinando Russo, Salvatore Di Giacomo, Giovanni Capurro, Roberto Murolo e Pino Daniele. Con dei maestri così, non potevano che venir fuori poesia musicali ed emozionanti, che affascinano e schiudono mondi di ricordi e di riflessioni.

 

Flavia Falcone

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