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‘O vico de’ rose

‘O vico de’ rose

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Quando sono entrata nella dimensione poetica di Gerardo Landi, ho avuto la sensazione di camminare a piedi nudi sul tessuto soffice della sua anima, che accarezza e non ferisce, accogliendo in un caldo abbraccio chi si ferma a coglierne i battiti vitali. Il mondo interiore di Gerardo non può che impressionare positivamente per la nobiltà d’animo e la schiettezza dei sentimenti che, puntualmente, emergono ad esprimere una personalità dai tratti autentici, sinceri e passionali. I suoi messaggi non rischiano di volare sulla testa della gente, sfiorandone la sensibilità, ma arrivano dritti al cuore, con un linguaggio semplice e diretto. L’amore risulta essere al centro del suo vissuto emotivo e si manifesta nelle forme più ricche e articolate: nell’abbraccio protettivo e metaforico alle persone care, nella rivisitazione dei luoghi d’infanzia, vissuti in maniera nostalgica, come in “ ‘O balcone”, dove ricorda i tempi felici in cui la madre se ne prendeva cura ornandolo di rose, ma ormai triste e spoglio, in una casa muta e priva dei profumi antichi, nella dolce attenzione che pone verso ogni aspetto della vita e nei riguardi di ogni sua forma. Egli si chiede se il sentimento esiste anche laddove gli altri non riescono neppure ad immaginarlo, perfino in quella “Faccella nera”, costretta a vendere l’amore, ogni sera, “‘ngopp’‘o stesse marciapiede”, mentre prega Iddio che la persona di turno la guardi soltanto e vada via. In quello scenario di squallore, la sua domanda, senza malizia è: “comme vurria sapè / si quacche vota / pure tu, si stata ‘nnammurata”.

La passionalità linguistica del vernacolo, con cui esprime i suoi canti in maniera predominante, tocca le corde dell’anima e trasmette la sua potente forza emotiva.

Leggere le sue poesie apre il cuore, emoziona, commuove.

Permette di arrivare fino in fondo al suo vissuto, sofferto, segnato da perdite importanti, come quella delle due sorelle; una ancora adolescente, l’altra già madre. In ricordo della prima, l’autore apre questa raccolta di poesie con una lirica composta dalla stessa, che ha conservato gelosamente e che recita parole di speranza, di rinascita, che colgono la vita nella primavera, quando, dopo aver sofferto pioggia, neve e gelo, il freddo dell’inverno sembrava aver fatto morire ogni cosa. Alla seconda, invece, ha dedicato la toccante poesia: “L’urdema carezza”, dove il dolore e l’amore si fondono nel ricordo della persona cara che ha protetto fino alla fine da una tragica verità, mentre “la sua mano fredda gli gelava il cuore”.

Sul palcoscenico dei sentimenti, tuttavia, a dispetto della sofferenza, compare sempre vincente l’amore che salva, ritempra, consola. L’amore che conforta, riscatta e permette la rinascita a nuova vita così come fa la primavera.

Gerardo non perde mai la fiducia nel sentimento che, al pari di una carezza, come lui stesso dice: “...me piglia p’‘a mano e me porta luntano”,

gli permette di sorridere ancora e regalare luce ai suoi occhi.

Un passaggio commovente riguarda l’amore per le figlie:

“Site ‘a luce ‘e l’uocchie mije”

che, quando è costretto ad allontanarsi, diventano “‘na lacrema dint’‘o core”, che porterà sempre con sè, con orgoglio di padre.

Sempre alla ricerca della corrispondenza di amorosi sensi, di un amore spirituale ancora prima che passionale: “Si’ chella stella ca brilla dint’‘o scuro”, “...chella nuvola ca’ scumpare / pe’ fa’

cumparì ‘o sole”, promuove un sentimento che non ha età “Pure si nun tieni cchiù vint’anne / l’ammore è bello… / è bello pure a cinquant’anne!” ed esprime una capacità di amare che vuole vivere sulla pelle e nel cuore, che si fa avanti e batte forte, nonché una passione che si realizza nell’abbraccio dell’amata, oltre ogni ragione, perchè “Quanno ‘o core s’annammora, / ‘a capa dice mille vote: / lassa perdere, nunn’è cosa!”- ma il cuore le risponde: “che ne saje, / si maje stato ‘nnammurato?”

Marina Villani

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