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Liberati dal male

Liberati dal male

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Ogni storia ha il suo cominciamento. La storia di Stefania Miro, quivi intessuta, ha il suo cominciamento dall’opera di copertina.  Basta guardarla con attenzione, e dal soggetto, dalle forme, dai colori, vien fuori la donna, prima che l’artista Stefania. I suoi occhi verdi, su di un fondo rosa omogeneo, l’espressione, la boccuccia, quello scavo nel collo, le braccia come amputate, assorbite dai “desideri” suoi, più intimi. Sul vestitino, essenziale, all’altezza del cuore, un ricamo, come una cicatrice; intorno alla figura di donna, da sinistra, mille pallini, che poi “sbocciano” in mille bimbi, ancor da utero, accolti, custoditi: “Sventra il mio essere,/fammi appassire nel tuo dolore/voglio avvizzire fino all’inaccettabile,/consumarmi fino alla polvere./Ma quando avrò toccato terra…/ritroverò me stessa”.
Questo libro, Stefania, l’ha scritto sulla sua pelle. È inciso, a fuoco, nelle sue viscere: non si risparmia, è come un lungo interrogatorio, come un processo dove l’unica imputata è lei: “Svito e riavvito la mia inquietudine…/un passo avanti,/per poi rimanere ferma un turno”.

Paura, esperienza, sogni, incubi, nodi, scorticature, cenere, nuovo fuoco. L’ombra del male, il tormento, i suoi 35 anni di vita…sulla soglia della morte, del buio, fino alla resa: “La Vita mi voleva a tutti i costi!”.

Ci sono grida in questa “carta che bolle”, e silenzi. Stefania è voluta nascere per forza: la prima cosa che è venuta fuori di lei è stato…il suo sederino: incredibile. È una combattente nata: “Fumo nero all’orizzonte/e puzza di copertoni bruciati,/nel mio petto/batte ancora una piccola zona industriale,/scarichi tossici mi avvelenano lo spirito/aspettando una nuova guerra…/ora conta risarcire me stessa”.

Rabbia, dolore, delusione, grinta: sono questi gli ingredienti di questa sorta di match continuo che vive l’autrice, nella sua vita, quando affronta il mondo, le esperienze: “Ho pianto dalla voglia di vivere…/bloccata dalla confusione,/in una scarpa che stringe e morde senza tregua./Ora cammino scalza su chiodi arrugginiti/e se mi ferisco continuo a camminare”.

Stefania, oltre a com-prendere, vuole capire: studia la fisiologia del panico, prova inoltre, ripetutamente, a mettere ordine nel caos, a dare definitiva sistemazione ai “pacchi”, non solo quelli fisici, ma anche quelli metaforici del suo vissuto: “ne ho fatti tanti,/in tutti i luoghi e in tutte le direzioni/non ho mai rotto niente,/solo incrinato qualche sogno…”.

Le si sradica il cuore dal torace, non sente più gambe e braccia, le frigge il cervello…ma poi l’anelito a nuova possibilità: “Al sole come al seme,/ basta uno spiraglio per attecchire”.

L’autrice nega e si nega, ritrae la fiducia, che è stata canale di tradimento, sorseggio di cicuta: “rimuovo ogni possibilità di ingresso/sgombrando a forza tutto il veleno iniettato/nel taglio dei dispiaceri, da chi potere aveva/dei miei occhi inquieti, tracanno l’infelicità…/acqua distillata che mi contaminava l’animo”.

Stefania vive come uno scollamento, un estraniamento, una continua crocifissione: il destino amaro di un seme che marcisce senza dare frutto: “Crocifissa senza chiodi…/in un groviglio costruito su misura,/uno strappo violento mi si annida/tra le mani e un lutto mi oscura il grembo”.

Stefania si perde: sembra Alice, in un Paese non proprio di meraviglie, piuttosto in un labirinto di caos e di incertezze, ma ecco, che il suo sguardo incantato scorge: “la speranza in un filo di lana/che riconduca a casa”.

 

Quella della scrittrice è un’autentica confessione, è il suo un flusso di coscienza, una “recherche”, che non risparmia niente, nessun dolore, ma che conduce ad una tagliente e al contempo pregnante consapevolezza: “Non ho guardato mai nel mio cuore”, riconosce Stefania. Tra le macerie delle sue esperienze, riconosce, come un oracolo a lei rivolto, il motto delfico “Conosci te stesso” …e risale la china. Stefania elabora il lutto, lascia che chi l’ha tradita non abiti più il suo cuore.

Si concede una nuova possibilità, accetta la sfida a “rendere la vita un sogno”, vive, nuovamente, come pensa sia naturale fare: col cuore aperto. “Io, non smetto di pulsare…come una stella; quando la mia luce si affievolisce, torno ad accecare e non smetterò di illuminare finché avrò fiato, perché amo”.

E Stefania danza di nuovo, incede festosa, sorride, dolcissima, all’amore: “Voglio amarti chiassosamente,/stringerti intensamente/sentendo l’eco delle mie parole/che si allungano e si sporgono/sul lungomare dei tuoi occhi/che mi sfiorano serenamente/sedandomi il fiato./Dentro di te sono/cielo di zucchero a velo,/prato stellato,/arcobaleno fiorito,/vortice di emozione,/nuvola di cotone,/oceano di passione”.

Disfa il bagaglio della desolazione: “Hai attecchito in me…fiorendo senza sosta,/hai rami saldi/e radici che affiorano dagli occhi”.

Stefania alterna, armoniosa, la prosa con la poesia e raccorda le voci, con le sue opere d’arte, che, frammiste alle parole, sono emblema di catarsi continua senza interruzione di emozione.

Curata e musicale è la metrica, nonché la sistemazione delle rime e delle assonanze nella poesia in vernacolo “’A stella e ’a muntagna”, e in quella in lingua “Il seme della vita”.

La verseggiatura di Stefania quasi riproduce la sua scultura. Più precisamente, si presenta come un bassorilievo forgiato sul piano della sezione verticale che taglia a metà l’opera scultoria ad essa idealmente corrispondente. Sono presenti qua e là gli endecasillabi, o versi paradigmatici, che lei non esita a sfondare o a comprimere, secondo la forma che intende conferire alla scultura stessa, senza, però, preoccuparsi – e, questo, scientemente – di dare ad essa quella successiva limatura che ve la sovrapponga perfettamente.

Il libro della nostra scrittrice e artista è un viaggio nei meandri più reconditi dell’essere, in quei “luoghi” che spesso noi tutti, per paura o per pigrizia, non visitiamo.  Un plauso a Stefania, donna coraggiosa e leale, a lei l’augurio, con le sue stesse parole: “Fidarsi è l’incanto della perfezione…”.

Ho lavorato, con amore, anche di notte, "allo scrittoio" di questo libro, fatto di carne ed anima, di fiato e silenzio, di pudore e audacia. Lasciarsi contaminare dalla vita altrui non è mai indolore; benedetto sia questo dolore.

 

                                                                            Enrica Romano

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