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Un anno d’altri tempi

Un anno d’altri tempi

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“Mir sa eth de Katund”! Un incipit in Arberesh per onorare questa antica lingua degli Albanesi, trasferitisi a Greci nel Medioevo, e che ha mantenuto la sua integrità.

“Bene perché vi ho portato a Greci!” E’ la traduzione letterale del saluto iniziale. La presente opera è una preziosa raccolta di ricordi particolari della vita dell’Autore, che racchiudono le sue vicende più care e coprono un anno di tempo, per lasciare uno scampolo significativo degli usi e dei costumi del suo paese natio.

È un omaggio a tutti coloro che amano il paese di nascita e si sentono accomunati dalle piccole cose che scandiscono la quotidianità.

Sono tesori rilasciati nel guado del fiume della vita che diventano, col tempo, sempre più importanti e più stringente la loro nostalgia e il desiderio di riprendere ciò che si è lasciato andare, travolti dalla routine.

Ad un tratto, si percepisce il bisogno di tornare indietro e ripercorrere le tracce lasciate e tesaurizzare ogni cosa vissuta, condividendola con gli altri, perché si scopre che il tempo andato era ricco di stupori e che abbiamo ancora sete della loro indiscutibile magia.

Il racconto ha una funzione pedagogica, induce a riflettere, a soppesare gli eventi e dare loro la giusta collocazione perché parte di essi, ci seguiranno e faranno parte del corredo immortale che seguirà il nostro destino futuro.

È una sorta di trebbiatura per la raccolta del grano che produrrà il pane per altre vite.

Non sempre ci fermiamo ad ipotizzare che le nostre esperienze possano avere un’implicazione nelle vite future, che siano solo preambolo d’altre realizzazioni, semi per giardini sconosciuti e foreste di alberi immensi e frutteti di edenica memoria.

I nostri occhi aperti su questo mondo anelano la magia sconosciuta del progredire impensabile di ciò di cui abbiamo visto solo l’inizio.

L’inquietudine che spesso ci prende è aura di cose lontane passate, ma anche avvenire dove solo l’immaginazione ci può condurre.

È quel senso di costrizione degli abiti mentali nei quali siamo cresciuti a farci desiderare di uscirne e ricercare quel senso ignoto di noi che non abbiamo afferrato attraverso le cose, ma nella cui magia siamo rimasti imbrigliati.

E così che ridisegniamo il passato, perimetrando l’essenziale, con l’indice del cuore per proiettarlo intorno a noi nel desiderio incoercibile di espanderne la bellezza.

È questa la spinta che tracima dalla sua scrittura, dove i vari momenti impetrano eternità e i nomi ed i luoghi insorgono in uno struggimento silenzioso e costante.

Questo testo potrebbe essere sfogliato come un album di famiglia per la radicata appartenenza delle entità ad un solo ceppo e la consequenzialità di usi e costumi rimasti inalterati per secoli.

Per questo aspetto potrebbe essere ritenuto un libro di storia, non solo dell’Autore, ma del lascito culturale e sociale di un popolo.

E tipico delle genie trapiantate di mantenere intatte in una fedele e maniacale ripetitività ciò che costituisce la propria eredità, unica e sola certezza di sopravvivenza della propria identità.

È appunto il timore della perdita irreparabile di ciò che ha caratterizzato la sua esistenza, rendendola speciale, a spingerlo a raccontarsi in un tempo che tralascia come minuzie le vicende del singolo per appuntare l’attenzione delle masse sulle storie ammannite per sottometterle ai propri giochi di potere.

È palese come venga dal basso la spinta maggiore alla continuità, mentre dall’alto si livella il terreno per distruggere ogni ostacolo ad operazioni senza scrupolo per coloro sui quali ricade il peso nefasto di smodate ambizioni.

È considerando l’apporto indispensabile di ogni essere nella sua unicità che si scopre che “nulla è poco” se in grado di portare avanti la forza prodigiosa della vita.     Così dice della presenza degli esseri che animano le vie del paese che ne scuotono la monotonia; la compresenza di diverse entità da forma visibile si trasforma in essenza e trova dimora nel regno di una memoria incancellabile del transeunte.

Com‘è complesso il nostro sistema rievocativo, che dicontinuo trasferisce i dati degli accadimenti anche più irrilevanti e che invece vengono classificati da una memoria universale con la stessa cura e la stessa precisione.

In verità, noi siamo nodi di convergenze fisiche e psichiche e ogni loro interfacciarsi crea una rete di collegamenti all’interno e all’esterno di noi; noi, però, come coscienza ancora inscritta nella nebulosa delle nostre priorità.

La memoria è un esercizio mentale per riaprire le caselle chiuse dal tempo, e per liberare ciò che vi teneva inumato.

La memoria è un rudimento del processo di resurrezione e quando sarà completato non ci sarà più alcun tipo di estinzione, né la rapina da parte del tempo dei frammenti attraverso i quali la natura vela e disvela i suoi segreti.

Siamo già stati Uno e gradatamente ne riprenderemo coscienza.

In verità, nulla si perderà di noi e di ogni attimo della nostra esistenza perché contrassegnato dall’Energia Suprema, non da quella minima porzione di conoscenza, bastevole alla presente prova di eternità, ch’è uno degli infiniti spazi temporali, durante i quali, l’anima esperimenta la materia, ma da quella che non riusciamo ancora nemmeno ad immaginare, retta da una Forza che tiene avvinte tutte le cose dei Multiuniversi.

Forza che non considera diseguaglianze, che non privilegia qualcosa a discapito di altre, ma che si concede uniformemente senza discriminarne alcuna, rispettando la capacità di ognuna.

È in questa visione cosmica della grandiosità dell’esistenza che il racconto dello Scrittore Antonio Sasso rifulge di mille luci e le cosiddette piccole cose acquistano un valore immenso, non solo per lui, ma per tutti coloro che leggendole potranno resettare le loro considerazioni sulle vicende vissute e rivederle sotto un’altra luce; e soprattutto per i giovani,  che conquistati dalla tecnologia avanzata pensino di poterle tenere in spregio,  nell’illusione di una civiltà  incombente, che promette effetti speciali, ma che non vuole tener fede a quei principi morali che fanno grandi le Nazioni e i loro abitanti.

Come la terra ha il suo astro che la illumina e la vivifica, ogni corpo ha nel cuore il proprio e non c’è futuro bypassando le sue leggi.

Grazie, caro Scrittore, per queste pagine che costituiscono un promemoria per le nostre menti, smarrite più che mai dagli avvicendamenti del degrado planetario e dalle necessità indotte, che stanno minando la vita semplice, serena, ricca di buoni sentimenti, bastevole ai Pacifici a cui è stata promessa la Terra.

Gli episodi che hanno scandito un anno della tua vita li conserveremo nel cuore, renderanno più agevoli le nostre sfide quotidiane e i ritratti dei personaggi che hai rammentato ci accompagneranno come amici perl’eternità.

Era lì a Greci, antica Colonia Greca e poi Albanese, paese a noi sconosciuto che ci attendeva un tesoro che il tuo racconto ci ha rivelato, attraverso lo scorrere dei giorni e delle stagioni di un anno, e di cui abbiamo avuto l’onore di ripercorrere gli usi con te.

Ti consideriamo l’Angelo guida in questo percorso, all’interno della memoria del tuo grande cuore e del tuo inestimabile Katundi, che unico, ha conservato nei secoli, immutati: la lingua arbëreshë, la cultura e i costumi degli antenati.

 

Dott.ssa Angela Furcas

critica  letteraria

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