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Matteo Ripa: la missione all’Apostolica e il Collegio dei Cinesi a Napoli

Matteo Ripa: la missione all’Apostolica e il Collegio dei Cinesi a Napoli

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L’età e la malattia non avevano cancellato o sbiadito i ricordi del sacerdote che aveva vissuto intensamente la sua vita, e quando l’arcivescovo di Napoli card. Francesco Pignatelli impose a Matteo Ripa di scrivere un resoconto del suo lungo servizio missionario in Cina sapeva di poter attingere ad una ricca sorgente, ad un patrimonio di inestimabile valore storico. All’età di 61 anni, il 26 maggio 1743, tre anni prima della sua morte (avvenuta il 29 marzo 1746), iniziò la composizione del Giornale del viaggio fatto da me (Ripa) da Roma alla Cina e dalla Cina a Roma, non senza qualche riserva legata ai «tanti scandali sotto i miei occhi seguiti in tutto il tempo che dimorai in Cina». Il riordino della notevole quantità di materiale cartaceo in suo possesso non fu impresa facile e consumò ulteriormente un fisico provato dagli anni, dalla fatica e dalle angustie morali; fu così che il racconto degli avvenimenti cinesi dal 1707 (1705 se si tiene conto della sua partenza da Napoli) al 1724 si ferma alla missione del Mezzabarba preferendo ricorrere al Giornale del Viani per gli anni successivi. Nuovo cardinale di Napoli era Giuseppe Spinelli le cui simpatie filo gianseniste erano note quanto il suo fervore antigesuitico. La sua elezione fu salutata con entusiasmo dal Ripa che da lui si attendeva una particolare attenzione per la sua opera, in quanto nipote del cardinal Imperiale «tanto divoto e impegnato per questa sant’opera». Ora, dopo aver tanto esitato, si accingeva a dar notizia di disordini e scandali, sicuro che i tempi della loro diffusione fossero maturi, ma anche forte della convinzione che poteva essere «d’istruzione et edificazione» ai membri della sua Congregazione e di «molto lume a quelli che fra i nostri dovranno andare a missionare in Cina». Si raccomandò che questo suo ragguaglio non venisse dato alle stampe ma fosse riservato ad uso interno. Scorrendo questa opera, noi ci accingeremo ad entrare nella vita di questo missionario le cui virtù e la cui fedeltà furono riconosciute e apprezzate dalla Chiesa. Questo lavoro si muove sul filo dei ricordi contenuti in altri suoi scritti e in modo particolare nella Istoria o sia relazione dell’erezione della Congregazione e Collegio della Sagra Famiglia di Giesù Cristo, opera in 69 capitoli pubblicata a Napoli nel 18321. Il Ripa si trovò nel bel mezzo della lotta antigesuitica che caratterizzò il XVIII secolo e che enfatizzò oltre misura la questione dei riti in nome della «purezza di nostra Santa Fede», inquinata dal permissivismo dei missionari gesuiti. La sua riconosciuta conoscenza del problema e la sua capacità di raccogliere una notevole documentazione a riguardo nei tempi della sua presenza in Cina ne fecero a Roma un testimone soprattutto credibile. Come «uomo intendentissimo de’ costumi cinesi» il suo parere particolarmente apprezzato tra la gerarchia gli procurò molte influenti amicizie e quei favori tanto necessari per realizzare il sogno del Collegio dei Cinesi, di cui appresso si parlerà. Notevoli benefici ebbe dagli stessi pontefici Clemente XII e Benedetto XIV i quali, probabilmente per il contributo offerto in occasione della condanna delle otto permissiones del Mezzabarba (svolse per invito di Clemente XII il ruolo di consulente del Sant’Uffizio) lo gratificarono con titoli ed elargizioni a favore del Collegio. Seppe districarsi bene tanto nei corridoi romani quanto nei salotti dei politici e dei nobili al fine di ottenere gli indispensabili permessi per realizzare il suo sogno missionario, patendo anche momenti di sconforto e di depressione. Soprattutto fu missionario, talmente soddisfatto di «si nobile vocazione» che rese sempre grazie a Dio, mai comprendendo «come alcuni fra tanti Missionari da me conosciuti in quelle parti, si avessero potuti pentire del viaggio già fatto, e stessero mal contenti della loro vocazione, che fra le altre è la più divina, imitandosi con essa, come vivo esemplare, la vita del nostro Signor Gesù Cristo»2.

Perché un libro su Matteo Ripa? Per otto anni, frequentando le medie e il Liceo Classico nel medesimo edificio, ho sfiorato il mezzo busto bronzeo di un prete con un enorme crocifisso sul petto, chiedendomi, come l’imbarazzato don Abbondio, chi fosse costui. Nelle interminabili ore di lezione andando con lo sguardo oltre le serrate finestre dell’aula spesso osservavo quel familiare pezzo di bronzo segnato dal tempo, che un certo prestigio dava alla città di Eboli, avendogli dedicato un monumento, una scuola e una importante via del centro. Soddisfo così quella giovanile curiosità, annoverandomi tra gli estimatori dell’illustre concittadino. Oggi mi trovo, per di più, nella felice condizione di essere il “parroco” di Matteo Ripa, essendomi stata affidata la cura pastorale della parrocchia nella quale si trova la sua casa natale e la chiesa in cui ricevette il sacramento del battesimo. C’è un altro motivo, meno sottoposto al vento dei ricordi e più legato ai miei attuali impegni e interessi, tendente a dare una lettura più rispettosa della storia della Chiesa missionaria che mostri il contributo dato dalle Chiese del sud Italia. Lo scenario attuale sembra voglia esaltare le propositive Chiese del nord con le coraggiose intuizioni di alcuni suoi pastori nel XIX secolo e con i suoi numerosi organismi missionari. Il sud appare più come elemento trainato che trainante, come realtà più da evangelizzare che evangelizzante. Non è ottuso campanilismo quello che mi spinge a riproporre questa figura di missionario, colpevolmente dimenticata dalla letteratura missionaria, che, pensando la sua Fondazione a Napoli, non solo ritenne giusto perseguire la logica del decentramento ma volle anche dar voce ad una antica e nobile tradizione cristiana.

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