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Vincenzo Giudice: da Eboli a Bergiola Foscalina

Vincenzo Giudice: da Eboli a Bergiola Foscalina

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… pioveva quel pomeriggio quando ci recammo al cimitero di Bergiola Foscalina a rendere omaggio a Vincenzo Giudice ed a tutte le persone che con lui furono trucidate in nome di una causa della quale solo la follia umana ne conosce la ragione. Pioveva, ed il piccolo cimitero ci accolse con un dignitoso silenzio che solitamente regna in questi luoghi.

 Esso sembrava che ci parlasse, sembrava che narrasse a noi venuti da Eboli quanto accaduto quel 16 settembre ’44, sembrava che raccontasse quel legame profondo tra gli abitanti di Bergiola e le vittime che riposavano in quell’angolo riparato, progettato ed eretto secondo una giusta scelta.

Già all’arrivo in quel piccolo cimitero, quasi tutto bianco, caratterizzato da tombe fatte con lo stesso marmo, sicuramente proveniente dalle vicine cave, già quel colore quasi omogeneo, lasciava trasparire un senso di dolcezza mista alla pace solita di quei luoghi. Poi quando mi sono trovata davanti a quella tomba sono rimasta esterefatta perché non la immaginavo così grande. Non sapevo che i resti degli sfortunati essere umani nati nell’epoca sbagliata e vittime della follia umana riposassero tutti insieme. Una tomba accuratamente coperta da chi ha avuto immenso rispetto per quelle spoglie, una tomba con il nome di tutte le vittime. Gli occhi vanno subito ai miei compaesani trucidati il 16 settembre 1944.

Ricordo che non riuscivo a distogliere lo sguardo da quei nomi e da quelle date sul marmo della tomba. Mentre il rappresentante del nostro comune parlava e così quello di Carrara, le loro voci si allontanavano sempre più. Il mio cuore ebbe un sussultò quando vide tra i nomi quello del piccolo Angelo, nato a giugno, morto a soli tre mesi. Riuscivo a percepire la disperazione di quella madre che non ha potuto proteggerlo in quel suo ultimo abbraccio… riuscivo ad immaginare la disperazione, il terrore, l’agonia di chi fu vittima di tanto male.

Ricordo che finita la funzione, delicata, profonda e toccante, quando stavamo per andare via, fino all’ultimo ci giravamo indietro quasi a volerli salutare e salutare e salutare ancora… quasi che a molti di noi ci accomunasse un sentimento comune: la tristezza di ritornare ad Eboli sapendo di lasciare lì degli ebolitani. E per tutti questi anni ho pensato, sbagliando, che non era giusto. Invece quando l’altro giorno mi sono recata con il Direttore Giuseppe Barra presso i familiari di Vincenzo Giudice, ho capito.

La signora Fernanda, figlia di Antonio, fratello di Vincenzo Giudice, con molto garbo e tanta signorilità mi ha spiegato che fu chiesto ai familiari se volessero riportare le spoglie di Vincenzo Giudice e della sua famiglia ad Eboli. Ma la famiglia rispose “no, perché lui è morto per salvare quelle persone, ed è giusto che riposi insieme a loro!”

Ecco, su questa affermazione vorrei soffermarmi un attimo. “….morto per salvare tante persone…” . A questa voce, purtroppo negli anni se n’è contrapposta sempre un’altra, infida e serpeggiante sulle labbra di tante persone. Una voce che cercava di svilire il sacrificio di Vincenzo Giudice affermando che il suo sacrificio fosse quasi ovvio dato che tra quegli ostaggi v’era la moglie ed i figli. Ma così non fu. Tempo dopo quando i familiari si recarono a Bergiola Foscalina, più persone testimoniarono che appena entrato in paese, ed informato dell’accaduto, lui corse lì spinto solo dal suo dovere di soldato. Nessuno sapeva ancora chi fossero le persone rastrellate. Fin dall’alba la gente era fuggita nei boschi, in montagna, nelle botole disseminate ricoperte d’erba, e nessuno poteva sapere cosa fosse accaduto al vicino, all’amico, al parente. Perciò neanche Vincenzo Giudice quando corse lì lo sapeva. Nessuno potrà mai dirci se prima di morire i suoi occhi incontrarono un’ultima volta quelli della dolcissima moglie, della diletta figlia e del suo piccolo uomo. Nessuno mai potrà soddisfare le nostre domande. Ma una cosa è certa. Non andò a chiedere aiuto ad altri militari, non andò ad organizzare i rinforzi, non tornò sui suoi passi cercando di darsi alla macchia, ma appena il partigiano gli chiese di fare qualcosa per liberare quelle persone “rastrellate” dai tedeschi, egli puntò dritto sulla scuola. Chi erano quelle persone i bergiolesi lo seppero solo a fine “inferno”, quando i tedeschi e gli infami delle brigate nere si ritirarono, lasciando alle loro spalle la morte ed il fuoco che bruciava i corpi, a volte anche vivi, degli innocenti. Lentamente la gente iniziò piano piano ad avvicinarsi a quella scuola e lì l’orrore che si era consumato avvolse tutti i sopravvissuti. Possiamo solo immaginare lo strazio di chi si trovò dinanzi scene terribili, possiamo solo immaginare l’odore dei corpi bruciati, possiamo solo immaginare la disperazione di chi aveva perso un proprio caro in un modo così cruento. Ma non potremo mai percepire l’immensa tragedia che si consumava in quei giorni nella sua effettiva e spaventosa realtà. Era accaduto qualcosa che pur sfuggendo alla comprensione di uomini normali, ha le sue radici in quel delirio nazista che purtroppo ha provocato simili tragedie ed ancora tutt’oggi, sotto altri nomi, genera massacri indiscriminati…

Giunta la sera di quel 16 settembre 1944, un profondo silenzio, non quello melodioso del tramonto, non quello romantico della notte, non quello complice degli innamorati, ma bensì il silenzio spettrale della morte, calò su quella scuola elementare di Bergiola Foscalina.

La ricordo quella vecchia scuola elementare dove gli amici della città di Carrara ci accompagnarono dopo la visita al cimitero. Una scuola con un giardino che si presenta esattamente oggi com’era allora, dove le mura conservano lo stesso colore ed il giardino lo stesso selciato. Ferma davanti alla lapide dell’eccidio, ho provato una sensazione nuova. Tristezza mista alla consapevolezza che l’unico bene dell’Umanità, è solo la Pace.

Tempo dopo molte furono le testimonianze che la famiglia di Vincenzo Giudice raccolse quando in tempi di pace si recarono a Bergiola.

Tra le tante due in particolare mi sono entrate nel cuore narratemi rispettivamente una da Fernanda Giudice e l’altra da sua cognata Giuseppina Belmonte moglie di Adriano, altro figlio di Antonio.

Esse ricordano che quando la zia Agnese sorella di Vincenzo si recò a Bergiola, un certo Dell’Amico scampato alla strage le raccontò che quando finì l’eccidio e nell’aria rimase solo l’odore di morte, molti cominciarono a confluire presso la scuola per vedere se v’era qualche superstite che aveva bisogno di aiuto. Questo Dell’Amico aggiunse con la voce sommessa e commossa che per terra tra le braccia di una mamma per metà carbonizzata v’era un bimbo con gli occhi aperti che sembrava lo guardasse. Egli si precipitò su quei corpi, e strappò quel bimbo a quella madre convinto che fosse vivo… ma… non lo era… e quando lo ripose vicino alla madre, attaccata alle mani gli rimase la pelle del bambino. Come quando prendi un libro bruciato, che in apparenza sembra intatto, poi appena lo tocchi si sgretola… così accadde a lui. E pianse, perché non sapeva come pulirsi quelle mani, perché gli sembrava un sacrilegio andare alla fontana e buttare via con l’acqua la pelle di un innocente. Allora gli si avvicinò un anziano del paese, che con una pacca sulla spalla cercò di calmare i suoi singhiozzi e poi con dolcezza gli disse di accarezzare l’erba e lasciare così che quelle tenere spoglie le potesse prendere il vento e magari sospingerle verso il Cielo… dove quell’angioletto aveva trovato ormai la sua nuova dimora.

Un altro racconto toccante riguarda un avvenimento accaduto anni e anni dopo quando i familiari si recarono a Bergiola ancora una volta. Ebbene essi incontrarono e conobbero la figlia della bidella di quella scuola dove avvenne l’eccidio. All’epoca dei fatti aveva 4 o 5 anni e si era salvata perché era stata rinchiusa con l’ordine di rimanere in silenzio in un armadietto minuscolo della scuola che per le sue dimensioni non lasciava presupporre minimamente che al suo interno vi fosse qualcuno. Ora era una donna grande e poteva raccontare cosa aveva sentito in quei terribili momenti pur se piccolina. Ed il pensiero subito è andato a “La vita è bella “ di Benigni. Chissà se è stato casuale questa somiglianza di avvenimenti o pura intuizione o solo una raccolta di testimonianze che il grande attore ha messo in atto. Non lo sapremo mai, ma è bello poter pensare che qualcuno si è salvato eludendo la furia bestiale dei nazisti.

Ecco, il mio cuore è pago di aver raccontato ciò che il tempo inevitabilmente cancella se non lo fissi su carta. La memoria rimane l’unico vaccino per questi mali. E scrivere di questi eroi serve a salvaguardarne il ricordo. Certamente non mi sento all’altezza di questo compito che mi è stato assegnato dal Direttore de “Il Saggio” Giuseppe Barra ma dal profondo del cuore lo ringrazio per due motivi: primo per aver organizzato quel viaggio a Bergiola Foscalina facendomi conoscere in quei due giorni luoghi e sentimenti sconosciuti che mi rimarranno sempre nel cuore, e soprattutto per avermi chiesto di scrivere con lui questo libro condividendo ricerche, studi e stesura.

Ringrazio Fernanda e Antonio Giudice e Giuseppina Belmonte moglie di quest’ultimo, per essere stati disponibili con noi e per averci aperto la loro casa dandoci la possibilità di ascoltare direttamente dalla loro voce i racconti di quei giorni.

Li ringrazio soprattutto per essersi fidati affidandoci materiale di immenso valore storico-affettivo solo sulla base della fiducia che può ispirare un incontro. Un incontro che rimarrà nel mio cuore, e spero anche nel loro…

 

Vitina Paesano

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