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Il mio Viaggio nell'Arte sacra

Il mio Viaggio nell'Arte sacra

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Sono ben lieto di portare il mio contributo alla presentazione del bel volume di Carmine Pinto. Con l’autore ci siamo conosciuti nel 1993, quando al lavoro di imbianchino affiancava qualche dipinto, soprattutto di paesaggi. La serietà e la passione, il tocco e la maestria, la capacità e la “sapienza” che metteva nella sua professione, manifestavano chiaramente qualcosa di più di un semplice imbianchino. La vena artistica, che già si percepiva, sarebbe esplosa nella sua maturità solo in seguito, intorno agli anni 2000, quando a seguito della ristrutturazione della chiesa di San Marco Evangelista, Carmine si assunse la responsabilità di dipingere il San Marco, che ancora adorna la  volta. Da quel momento in poi varie sono state le tele a lui commissionate sia da me (a Lago, Alano, Ogliastro Marina, Moio di Agropoli) che da altri, per varie chiese della Diocesi di Vallo della Lucania, ora raccolte in questo bel volume che l’autore mette a disposizione di tutti noi.

Questo personale contributo vuole essere anzitutto espressione del mio ringraziamento per quanto da lui fatto nelle chiese di cui sono stato parroco, per amore dell’arte e della religione, senza nessuna aspirazione di guadagno; inoltre mi offre l’opportunità di incontrare, attraverso questo testo, tanti amici ed ex parrocchiani e soprattutto mi consente di svolgere qualche riflessione sulle arti figurative, popolari o colte che siano. Non è il caso di addentrarci in una disquisizione sulle differenze tra arte colta ed arte popolare. Credo sia giusto dire che esse corrispondano a due ambiti diversi ma sicuramente in comunicazione, ed entrambe sono degne di interesse in quanto veicoli di bellezza e di ricerca interiore.

Sin dalle origini gli artisti hanno volto lo sguardo non solo alla realtà naturale ed umana, ma si sono spesso reclinati su se stessi, ponendosi interrogativi sull’essere e il suo destino. Questa introspezione mentale e psicologica ha condotto a forme non solo figurative, ma anche astratte e concettuali, allo scopo di far affiorare i segreti moti dell’animo in perenne conflitto tra la suggestione del vissuto e l’esigenza di una spiritualità tesa a inseguire verità e certezze.

In questa dicotomia si instaura il rapporto tra immanenza e trascendenza: un confronto serrato dove l’arte da un lato svolge la sua funzione di raffigurare o almeno evocare una realtà superiore, invisibile e intoccabile, dall’altro svela la fragilità dell’esistenza.

Sorge quindi la necessità di un dialogo tra umano e divino, un confronto che spinge l’operatore della creatività e dell’immagine, e Carmine ne è un esempio molto calzante, a misurarsi con i temi del sacro e dello spirito. In questo universo plastico e formale, oltre a compiere una sublime mediazione tra il perenne e il caduco, l’arte si trasforma in un messaggio di verità e di elevazione che ingloba il mistero del divino e la dimensione della bellezza pura.

Il tema della bellezza e della sua importanza nel corso dei secoli ha ispirato una moltitudine di poeti, scrittori, artisti. Basti ricordare quanto affermato dal grande scrittore Fedor Dostoevskij ne L’idiota: <<È vero, principe, che lei una volta ha detto che la 'bellezza' salverà il mondo? State a sentire, signori>>,  esclamò con voce stentorea,  rivolgendosi a tutti, <<il principe  sostiene che il mondo sarà salvato dalla bellezza! E io sostengo che questi pensieri gioiosi gli vengono in testa perché è  innamorato. Signori, il principe è  innamorato [...]  Ma quale bellezza salverà  il mondo?...>>; oppure quanto confessa S. Agostino nelle Confessioni (10,27) riguardo alla bellezza come scoperta del divino: “tardi ti ho amato bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato”.

Pur partendo da tesi contrapposte, le enunciazioni di questi grandi autori conducono tutte a qualcosa di alto e metafisico, dove abita la bellezza vera, eterna ed infinita.

Per tale motivo, l’arte e in particolare quella sacra, che occupa un posto rilevante nelle opere di Carmine, come si può constatare man mano che ci si inoltra nel volume, svolge un ruolo fondamentale, contribuendo “moltissimo a elevare l’umana famiglia a più alti concetti del vero, del bene e del bello” come enunciato dai padri del Concilio ecumenico Vaticano II.

Infatti accanto alla via della verità e del bene, per quanto meno valorizzata, la via della bellezza (via pulchritudinis), come via per innalzare il proprio spirito, via per aprirsi a Dio, non è stata mai assente nella tradizione della Chiesa; anzi, è stata sempre vista come via complementare a quella della verità e del bene. E’ una via che valorizza l’incarnazione, ossia non prescinde dal sensibile, pur evocando un’ulteriorità e orientando ad essa. La bellezza nell’esperienza è anche splendore del vero e del bene, perché noi non solo davanti ad un quadro o a un tramonto, ma anche davanti alla scoperta <<di una verità, rapito dalla meraviglia esclami: “Che bello!” … così per un gesto di perdono, per un atto d’amore>> come dice Davide Maria Turoldo in un articolo dal titolo esplicito: Bellezza, che così continua: <<Ecco il mistero della Bellezza! Finché la verità e il bene non sono diventati bellezza, la verità e il bene sembrano rimanere in qualche modo estranei all’uomo, s’impongono a lui dall’esterno…>>. Necessità dunque della bellezza: dalla bellezza della creazione che svela il Deus absconditus alla bellezza dell’arte, letteratura, musica, teatro etc, che manifesta il mistero profondo del cuore, in un provvidenziale bilanciamento con la ragione, che non può essere il solo orizzonte umano. Solo la bellezza affascina e trascina l’uomo, sprigionando la sua forza dinamica che è l’attrattiva, elevando l’uomo in alto oppure/e anche introducendolo nel mistero profondo dell’essere, in un felice comunione tra bellezza e spiritualità.    

Tuttavia questo rapporto di intesa collaborazione con la Chiesa (si pensi ai grandi capolavori di Cimabue, Beato Angelico, Giotto, Leonardo, Michelangelo e tanti altri maestri che hanno realizzato opere memorabili nel mondo; si pensi alle solenni liturgie, al canto liturgico, alle abbazie e cattedrali che tuttora seducono il visitatore; si pensi alla poesia e alla letteratura etc.) si è sovente incrinato a causa della secolarizzazione e di altri molteplici motivi. Da qui i ripetuti appelli per “ un patto di riconciliazione e di rinascita dell’arte religiosa in seno alla Chiesa cattolica” (Paolo VI, 1964). Di grande valore e attualità è poi la Lettera agli artisti di Giovanni Paolo II (aprile 1999). “Nessuno meglio di voi artisti, geniali costruttori di bellezza, può intuire qualcosa di quel pathos con cui Dio, all’alba della creazione, guardò l’opera delle sue mani. Una vibrazione di quel sentimento si è infinite volte riflessa negli sguardi con cui voi, avvinti dal potere arcano dei suoni e delle parole, dei colori e delle forme, avete ammirato l’opera del vostro estro avvertendovi l’eco di quel mistero della creazione cui Dio, solo creatore di tutte le cose, ha voluto in qualche modo associarvi”.

Questo richiamo alla Genesi ci fa sentire la profondità della bellezza divina e lo stupore per le cose create. Agli artisti di ogni tempo e luogo, grandi o piccoli, famosi o semisconosciuti, è demandato il compito di rinsaldare una nuova e feconda alleanza, nel segno di una creatività che interpreti la verità, indaghi il mistero, renda visibile l’invisibile.

Queste riflessioni riguardante l’arte e specificamente il rapporto tra l’arte e il sacro, l’arte la religione, l’arte e la spiritualità, costituiscono anche, in una certa misura e con le dovute contestualizzazioni, il motivo conduttore di gran parte della produzione pittorica e non, di Carmine Pinto, come si può constatare e gustare addentrandosi nel volume: tele il cui soggetto religioso è decisamente predominante; con esiti formali e plastici tesi al riscatto della condizione umana e al recupero di valori estetici, etici e dello spirito, facendo sentire l’uomo non più solo in questo universo, ma accompagnato e protetto da presenze altre.

Al di là delle tecniche e del linguaggio usato, che richiederebbero altra penna, le opere del maestro Pinto svolgono una duplice funzione: quella di rappresentare con dignità il credo personale, la fede, la devozione, la spiritualità, la sacralità e quella di stimolare il sentimento religioso attraverso la contemplazione, la meraviglia, il dialogo, la devozione.

In questo ambito, dove fede e ragione si confrontano, viene alla ribalta l’attività del “fabbro nobile” che plasma la materia, dipinge l’adorabile, contorna l’invisibile, dà voce alle emozioni, armonizza segni e colori in immagini che hanno il potere di rappresentare figure e simboli eterni: dal Signore alla Madonna, dagli angeli ai santi.

A questi grandi temi di cui parlano la Bibbia ed i Vangeli si affiancano i sentimenti più intimi (l’amore, la speranza, il dolore) che accompagnano l’uomo fin dal suo apparire sulla terra.

Lungo questo versante l’arte ed in particolare quella sacra, anche quella  “semplice” ma “sentita” e “appassionata” di Carmine Pinto, viene a esprimere una spiritualità meditata e significativa che apre le porte al trascendente. In questa dimensione ogni immagine ri-creata svela un viatico pulsante di verità e di bellezza che fa più presente il vicino e il divino. L’arte diventa così una silenziosa preghiera.

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